Per migliorare le prestazioni dei sistemi HSE (Health, Safety & Environment) si è spesso scelto di inasprire le regole e cercare di aumentare i controlli, irrigidendo le procedure e provando a creare dei sistemi rigidi all’interno dei quali i lavoratori fossero obbligati a comportamenti prestabiliti.
Questo approccio, applicato fin dagli albori dell’igiene industriale (è così che veniva chiamata la sicurezza sul lavoro), è sembrato efficace data la continua riduzione degli incidenti e della loro gravità che si è verificata nel secolo scorso. Tante cose sono naturalmente cambiate nel tempo, una forte evoluzione tecnologica e sociale ha profondamente modificato il mondo del lavoro ed i suoi paradigmi: le macchine sono diventate sempre più sicure ed evolute; è cambiato il modo di lavorare in molti contesti ed è cambiata la percezione che il popolo ha della vita e della morte (ad esempio la mortalità infantile che nel dopoguerra si attestava a 100 decessi per mille nati vivi oggi è a circa 3 per mille).
Da oltre un decennio però nel mondo “Safety” non si vedono più miglioramenti nonostante il progresso tecnologico continui ad avanzare e da qui che nasce la convinzione che è assolutamente necessario modificare l’approccio, smettendo di puntare solo su obblighi e controllo ma spingendo verso la diffusione della cultura della sicurezza. A differenza di un RSPP o di un formatore tradizionale, un Safety coach non imporrà delle regole calate dall’alto minacciando sanzioni ma incoraggerà le persone a trovare soluzioni in autonomia ed a credere nel proprio potenziale con l’obiettivo di creare una “sicurezza partecipata”.
Applicando le regole del Safety Coaching i ruoli saranno invertiti, il Coach diventa un osservatore attivo, il lavoratore diviene un esperto che si esprime e si auto analizza ponendo come obiettivo la propria sicurezza.